In questo Nuovo Anno
ti auguro di essere così folle da
aver fiducia nel prossimo nonostante
le ingiustizie subite.
Ti auguro di essere così caparbio
da lottare per i tuoi sogni più intimi
quelli per cui si spera una vita.
Ti auguro di essere così lucido
da impegnarti in ogni cosa come se da essa
dipendesse la tua intera vita.
Ti auguro di essere sveglio
così tanto da vivere nell’istante che stai vivendo
per trarne gioia, forza ed energia.
Ti auguro da avere cuore e braccia grandi
per accogliere in te tutta l’immensa gioia
dei tuoi sogni e progetti che diventano realtà.
Buon 2015
Stephen Littleword
non è forte colui che non cade mai,ma colui che cadendo trova la forza per rialzarsi
mercoledì 31 dicembre 2014
domenica 28 dicembre 2014
giovedì 25 dicembre 2014
Kenjutsu a Settimo Milanese
Il Kenjutsu (剣術: Kenjutsu, arte della spada) è un'arte marziale giapponese costituita dall'insieme delle tecniche di katana utilizzate durante i combattimenti corpo a corpo; si differenzia dallo Iaido perché le tecniche vengono eseguite solo dopo l'estrazione della spada dal fodero, mentre nello Iaido tutte le sequenze di tecniche (kata) vengono eseguite fin dall'estrazione dell'arma (Iai vuol dire infatti "estrazione" in giapponese).
Si può tranquillamente affermare che il kenjutsu si trova a livelli inferiori (in raffinatezza delle tecniche) rispetto allo Iaido, poiché utilizzato in guerra contro molteplici avversari (difatti le tecniche consistono in una serie di tagli dati verticalmente, orizzontalmente e diagonalmente al fine di annientare più "corpi" possibili nelle vicinanze del guerriero).
Bisogna fare molta attenzione nel non confondere il kendō con il kenjutsu. Infatti la differenza tra i due termini sta proprio negli ideogrammi che li compongono. Ken-Jutsu (剣術) sta per "Arte della spada" (da ken 剣: spada, e jutsu 術: arte, tecnica) mentre Ken-Do (剣道) sta per "Via della spada" (da do: via, percorso, in senso spirituale), inoltre bisogna comprendere la vera differenza tra queste: il kenjustu è un'arte nata per combattere e uccidere i nemici sul campo di battaglia, sviluppata dalla classe guerriera giapponese nel corso dei secoli; il kendo è sempre un'arte marziale, ma il suo scopo non è più uccidere l'avversario per ottenere la propria sopravvivenza. Lo scopo del kendo è auto-disciplinare se stessi, il proprio corpo e la propria mente, e percorrere appunto "la Via" per migliorarsi e crescere come persone insieme agli altri praticanti con i quali si studia l'Arte. Senza addentrarsi nelle possibili interpretazioni spirituali e filosofiche, questo concetto può essere racchiuso in una frase: nel kenjutsu ci si addestra per sconfiggere il nemico; nel kendo ci si addestra per sconfiggere se stessi e i propri limiti.
link Wikipedia
Kashima Shinden Jikishinkage Ryu (鹿島神傳直心影流?), o più brevemente Jikishinkage Ryu (直心影流?), è una tradizionale scuola di spada (koryū kenjutsu) sviluppatasi in Giappone nell'alto periodo Sengoku. È una delle antiche arti marziali giapponesi che sono praticate ancora oggi.
Una traduzione sommaria del termine è la seguente:
- Kashima è una città del Giappone in cui si trova l'antico santuario che conserva il sacro simbolo detto Shintai (anima di Dio);
- Shinden: donato da Dio;
- Jikishinkage: dall'ombra del cuore;
- Ryu: scuola.
Storia
Jikishinkage Ryu deriva dalle antiche scuole di scherma affermatesi tra il tardo periodo Muromachi e l'alto periodo Sengoku - tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo - presso il santuario di Kashima grazie a Matsumoto Bizen-no-Kami Naokatsu (松本備前守尚勝? — 1467-1524).La scuola Jikishinkage discende direttamente da due diverse scuole: Kage Ryu e Shinkage Ryu. Kage Ryu (o scuola dell'ombra) fu fondata nel 1490 dal samurai Aizu Iko, che perfezionò il proprio stile e lo diffuse in Giappone. Tuttavia è noto che, nel 1525, un altro samurai chiamato Kumizume Ise no Kami Nobutsuno (1508-1548) insegnava un proprio stile di kenjutsu come forma derivata del Kage Ryu, che egli chiamava Shinkage Ryu (o nuova scuola della ombra). Jikishinkage Ryu è la nuovissima scuola dell'antica ombra, e ciò denoterebbe rispetto verso gli antichi maestri. Matsumoto Bizen no Kami Naukatsu fu un famoso maestro di kenjutsu e fondò una propria scuola che dapprima chiamò Kashima Shinryu, poi Kashima Shinden Jikishinkage Ryu. Queste scuole sono ancor oggi praticate e secondo diverse varianti.
Il 14° grande maestro di Jikishinkage Ryu Kenjutsu fu il famoso spadaccino Kenkichi Sakakabira (1830-1894), guardia personale dello Shōgun. I suoi due migliori discepoli furono Matsudaira Konen e Yamada Jirokichi (1863-1930); entrambi studiarono gli stili più tradizionali del Jikishinkage Ryu. Il miglior allievo di Konen fu Makita Shigekatsu (1849-1914), giovane discendente di una famiglia di samurai dello Hokkaidō, il cui nome insieme alla scuola Jikishinkage, divennero famosi durante la guerra civile giapponese del 1867-1868 (la guerra Boshin). Oltre che di spada egli fu anche un esperto praticante di Kyudo, l'arte marziale giapponese dell'arco. Shigekatsu ereditò il titolo di grande maestro di Jikishinkage Ryu, ma la guerra in cui combatteva contro l'imperatore era una causa destinata a fallire. La casta dei samurai fu infatti sciolta e Shigekatsu dovette fuggire. Quando tornò in Hokkaidō aprì un proprio dojo, detto Jikishin Kan Dojo, e insegnò diverse arti marziali, non solamente il Kenjutsu. Il suo dojo divenne famoso nonostante la messa al bando, nel 1876, dell'uso di portare la katana.
Dopo la sua morte, nel 1914, il villaggio di Atsuta eresse in sua memoria un obelisco di granito nero, che esiste ancora oggi. La tradizione familiare è stata portata avanti da un discendente di Shigekatsu, Kimiyoshi Suzuki (n. 1934), che è maestro di Goju Ryu Karate (vedi stili del karate) e di Jikishinkage Ryu.
link Wikipedia
martedì 23 dicembre 2014
sabato 20 dicembre 2014
Sette ispirazioni per una vita serena
Sette ispirazioni per una vita serena.....
fai la pace con il tuo passato perchè questo non rovini il presente
quello che gli altri pesano di te non ti deve riguardare
il tempo guarisce quasi tutto,dai tempo al tempo
nessuno sia motivo della tua felicità,tranne te stesso
non paragonare la tua vita con quella degli altri,non hai la minima idea di dove li porti il loro viaggio
smetti di pensare troppo,concediti di non conoscere tutte le risposte
sorridi,non sei il detentore di tutti i problemi del mondo
ed io aggiungo, gli "uomini" hanno messo in croce Gesù perchè parlava d'amore e di pace .... cosa possono fare a te quindi!
I Samurai le loro armi il Giappone e altro ancora
introduzione alle armi giapponesi
Di Davide Dotta,
Ogni
essere vivente ha una predisposizione innata per il combattimento .Man mano che
cresce, l’animale sviluppa delle armi naturali (artigli, zanne e corna) che usa
per cacciare o per difendere la sua prole.
L’uomo,
invece, non possiede nessuna di queste armi offerte dalla natura, perciò, con
le sue ricerche e le sue esperienze, ha imparato a costruirsi degli attrezzi
per cacciare e difendersi.
I nostri
antenati giapponesi, come tutti gli altri popoli del mondo,svilupparono
delle tecniche di caccia che, a forza di miglioramenti, divennero più
sofisticati per adattarsi alla preda braccata (volatile, animale terrestre o
acquatico...).
Gli
archeologi hanno evidenziato che le mazze e le asce di pietra,d’osso o di corna
erano comuni in Giappone dalla preistoria.
Esplorando
il suo universo, l’uomo primitivo scopre le facoltà di flessibilità e
d’elasticità delle piante: alghe, erbe, vigne, alberi e bambù. Scoprì che
questi materiali erano migliori che la mano per lanciare pietre ed è così che
inventò l’arco e la freccia.
L’arco e la
freccia sono grandi invenzioni che rivoluzionarono la caccia e la guerra. Fino
a poco tempo fa, l’arco era considerato come l’arma la più efficace per
uccidere a distanza.
Per
combattere a media distanza, i giapponesi usavano l’alabarda (naginata)
e la lancia (yari). Sono composte tutt’e due di una lama montata su una
lunga asta di legno. Ma è sicuramente negli assalti a corta distanza che
troviamo l’arma regina degli giapponesi: la sciabola (ken).
Le prime
sciabole che sono state scoperte portavano una lama di rame che, per rimediare
alla fragilità relativa di questo metallo, era piuttosto corta. È soltanto con
avvento del ferro che le lame diventarono sia robuste che affilate.
L’origine
della sciabola giapponese risale a quasi tredici secoli quando dei fabbri
coreani e giapponesi si unirono attorno alla fucina. Quest’intesa segnò d’un
passo decisivo lo sviluppo della cultura.
Ai giorni
nostri, questa sciabola gode ancora di una fama internazionale ed è conservato
tale un oggetto d’arte, un pezzo raro testimone di una civiltà scomparsa.
Da un punto
di vista tecnico, la lama della sciabola giapponese,eccessivamente tagliente,
si rompe raramente perché flessibile. Il suo corpo in magnifico acciaio, il
disegno delicato del suo filo (hamon) ed il suo aspetto generale
presentano una forma pura che si integra perfettamente in un insieme armonioso.
I
ricercatori metallurgici moderni hanno provato comunque a svelare ilsegreto del
modellamento della sciabola mediante l’analisi della composizione del suo
metallo ma i risultati delle loro ricerche mostrarono che per quanto la struttura
sia identificabile, è impossibile ricostruire la lega con la semplice sintesi.
L’uomo ha
sempre avuto un stretto rapporto con le armi. Il centro Est-Ovest e
l’università Di Honolulu alle Hawai hanno creato un museo dedicato alle armi
bianche che raccoglie delle informazioni e dei pezzi venuti dal mondo intero.
Non saprei consigliarvi meglio che la sua visita a tutti quelli che sono
interessati dalle arti marziali e che desiderano approfondire i loro
studi in quel campo. Una cura tutta particolare sarà
concessa all’esposizione ed allo studio delle armi tradizionali giapponesi.
È Donn F. Draeger, uno specialista di arti marziali di fama mondiale, che dobbiamo
questo progetto. Grazie al suo sostenuto lavoro, ha saputo riportare agli onori
e dare nuova linfa all’ oplologia, disciplina accademica che studia in
relazione con le armi che crea.
L’uomo,
essere intelligente e maestro del suo avvenire, dovrebbe essere in grado di
controllare i suoi istinti ed imporsi, una volta deposte le armi, a rimanere
nella pace interiore. Sfortunatamente, alla minima apprensione, i suoi istinti
primitivi riaffiorano e lo spingono a tornare a combattere.
storia del santuario di katori
Esiste
un legame molto stretto tra il santuario di Katori (KatoriJingū) e la Tenshin
Shoden Katori Shintō-ryū e conviene esporre le origini del santuario. Situato
vicino a Tokyo nella prefettura di Chiba (nord est di Tokyo)nella regione di
Katori, comune di Sawara, il santuario di Katori è uno dei più celebri dedicato
al culto di Futsunushi-no-ō-kami (chiamato anche Iwahinuchi-no-Mikoto). Questa
divinità mitologica ha giocato un grande ruolo al fianco di Ninigi-no-mikoto,
nipotino della dea del sole (Amaterasu-ō-mikami) ed antenato della famiglia
imperiale, nella pacificazione del Giappone ancestrale.La sua fondazione risale
al diciottesimo anno del regno dell’imperatore Jimmu(642 A.C.). Futsunishi, su
l’ordine di Amaterasu-ō-mikami, si reca,accompagnato dal kami (dio), venerato
al santuario di Kashima, a Izumo, terrache ottiene da Ōkuninushi-no-mikoto.
L’armonia una volta stabilita, offrono questa contrada al nipotino celeste.
Futsunushi-no-ō-kami avanzò ugualmente all’interno delle terre, sottomettendo i
kami ribelli, stabilendo le basi della costituzione nazionale e aprendo ancor
più le province dell’est a l’influenza imperiale. Così, visto che ha
manifestato la sua potenza divina portando la pace alla nazione, assicurando il
benessere delle popolazioni, rispettiamo la sua virtù divina e lo chiamiamo “il
kami protettore della nazione”, “il kami dello sviluppo industriale” o ancora
“il kami fondatore delle arti marziali”.Il culto che la gente gli dedicò è
all’origine del santuario di Katori.
Fra le
istituzioni e le tradizioni venute dai tempi passati, esiste quella di
procedere alla sua ricostruzione ogni vent’anni, e visto che viene al secondo posto
dopo il santuario imperiale di Ise, divide con lui, e anche quello di Kashima,
il titolo di Jingū (santuario)dal quale fu onorato già dai tempi passati. Da
sempre la dinastia ci è stata estremamente rispettata. Il numero dei santuari
dedicati alla divinità venerata a Katori(Futsunusshi-no-ō-kami), la fede
popolare estendendosi a tutte le regioni delpaese, aumentò progressivamente
fino a raggiungere quello di 2300 edifici,suddivisi sull’intero Giappone.
Fra questi, possiamo citare i grandi santuari di Kasuga a Nara o Shiogama nella
prefettura di Miyagi.I bugeisha (soldati?), i primi, presero molto presto
l’abitudine divenire nella provincia di Katori inchinarsi davanti alle virtù
divine di questo kami e lo pregarono di portare i loro studi marziali a buon
fine. Giunsero anche a venerarlo, assieme alla divinità di Kashima, nel kamiza
del loro dōjō. A partire dell’era Meiji (1868-1912), il santuario giunse
al rango più alto, ricevendo il titolo di Kanpeidaisha, e la festa del tempio
fu fissata con il decreto imperiale. Ancora adesso, viene celebrata ogni 14
aprile, e quell’occasione, la casa imperiale manda degli emissari carichi di
doni. Ogni dodici anni, per l’anno del cavallo, la festa Jinkōsai estendendosi
su tre giorni, è eccezionale. Ci si prega per la prosperità della nazione ed il
benessere sociale. Un rito particolarmente maestoso che si svolge sia a
terra sia sull’acqua per celebrare l’avanzata verso le province dell’est di
Futsunushi-no-ō-kami, ed i fedelivengono tutti lodare questa prodezza divina. A
quest’occasione, la TenshinShoden Katori Shintō-ryū offre una rappresentazione
marziale.
le origini della tenshin shoden katori shinto ryu
Maestro lizasa Chōisai Ienao, fondatore della scuola, nacque a Lizasa(attualmente Tako, prefettura di Chiba) nella provincia di Shimosa, nell’anno 4dell’era Genchū (1387). Nato da una famiglia di gōshi (samurai di campagna),eccelle dal sua più giovane età nell’arte della sciabola e della lancia,attirando anche l’attenzione e la considerazione dei Chiba, signori della provincia di Shimosa. Sul campo di battaglia, non smette di battersi ma mai perde, e presto la sua reputazione oltrepassa i confini della sua provincia.
Dopo la
caduta della famiglia Chiba, maestro Ienao, libero dei suoi legami di vassallo,
fa dono di 1000 koku (1 koku=180lit.) di riso al santuariode Katori ed
intraprende l’impegno di far costruire a Ōtsuki-Miyamoto il tempio
Shintokusan Shinpuku. Lasciò anche ineredità 1000 koku di riso e si ritirò sul
monte Umeki, situato non lontano da un edificio distaccato dal santuario di
Katori.
Un giorno,
allorché un suo discepolo aveva appena lavato un cavallo alla sorgente del
santuario, l’animale si mise a soffrire e morì all’istante in modo
incomprensibile. MaestroIenao associò questo “all’insondabile potenza divina di
Futsunushi-no-ō-kami” e fu per lui un’illuminazione spirituale.
Alla
veneranda età di sessant’anni, maestro Ienao intraprese un ascetismo di mille
giorni e mille notti dedicato alla grande divinità di Katori, consistente in
bagni rituali e allenamenti marziali richiedenti sforzi intensi, la termine dei
quali Futsunushi-no-ō-kami gli sarebbe apparsa sotto le nobili vesti di un
bambino vicino ad un vecchio albero di prugne: “Sarai il maestro degli
sciabolatori dell’Impero”, dicendo questo, egli gli avrebbe consegnato un rullo
di Heihō shinshō (il trattato divino della strategia guerriera).
Di
conseguenza, come si trattava di una trasmissione diretta
diFutsunushi-no-ō-kami, lo chiamò Tenshin Shoden (verità divina giustamente trasmessa)
e ricevette il nome di Katori Shintō-ryū.
Quando si
consulta l’enorme quantità di opere segrete sulla strategia marziale che
possiede ancora oggi giorno la famiglia Lizasa, si capisce quanto gli sforzi e
l’ascetismo del fondatore furono eccezionali e quanto abbia dovuto rinforzare
il suo corpo con l’allenamento. Maestro Ienao morì il 15 aprile deldodicesimo
anno dell’era Chōkyō (1488) all’età impressionante di 102 anni.
Il suo nome
postumo èTaiganinden-Taira-no-Ason-Iga-no-kami-Raiodō-hondai-Koji, e quello di
sua moglie, Kogakuin-den-Myōshitsu-Seikyo-Taishi.
genalogia della tenshin shoden katori shinto ryu
La
tradizione orale che si è trasmessa di generazione in generazione nella
famiglia lizasa dice: “il primogenito non lavorerà per nessun daimyō di qualunque
provincia qualsiasi sia il suo compenso”. Ci si rende conto che la stirpe non
si è interrotta, ed alla ventesima generazione troviamo alla testadella scuola
maestro lizasa Yasusada.
In tutto
questo tempo, degli uomini illustri hanno studiato nella nostra scuola, tra
questi possiamo citare Kami-izumi Ise-no-kami Nobutsuna,fondatore della
Shinkage-ryū, Tsukahara Tosa-no-kami e Tsukahara Bokuden diKashima, Matsumoto
Bizen-no-kami Masanobu, Morōka Ippasai tra l’altro. Fra gli discepoli di
Moritsuna (maestro alla quarta generazione) c’era Takenaka HanbeiShigeharu,
famoso con il nome di toyotomi Hideyoshi (1536-1598; professore di strategia
marziale); dei nobili di corte di Sendai (prefettura di Miyagi) nelle province
del Nord, Katakura Kojūro Muranori, Kurosawa Genshichiro, e NakadaiShintaro,
Matsumoto Nao-ichiro, Iba Gunbei, vassalli diretti del bakufu (loshōgun
Tokugawa) e tanti altri istruttori ancora, suddivisi in numerosi feudi,e che
non possiamo citare tutti.
La strategia
marziale della nostra scuola si basa innanzitutto sullotai-jutsu ma la sua
tecnica guerriera raggruppa anche, tra l’altro, il ken-jutsu,il bōjutsu, il
shuriken-jutsu, il nin-jutsu, il sen-jutsu (la strategia) e lochikujō-jutsu
(l’arte di innalzare fortificazioni), l’astronomia, la topografia, il fūsui
(studio dei venti e delle acque, feng shui in cinese),l’in-yō (yaing-yang in
cinese), e di questo fatto è reputato per essere al primo posto nella
conoscenza degli arti marziali giapponesi. Fudōchi-shinmyō-ken e tsubame-gaeshi
fanno parte di questi insegnamenti più segreti e ancora oggi, bisogna,
all’ammissione nella scuola, sottoscrivere alla legge rigorosa del keppan, definita
con l’apposizione del proprio sigillo col proprio sangue. Di questo fatto, le
conoscenze spirituali e fisiche di Chōisai hanno potuto attraversare sei secoli
per giungere a noi invariate.
Maestro
Ienao chiamò la sua scuola Tenshin Shoden Katori Shintō-ryū edin seguito altri
nomi servirono a designarla quali: Shinryo Shintō-ryū, KatoriShintō-ryū,
Tenshin Shoden Shintō-ryū. Alla fine del quindicesimo anno dell’era Shōwa
(1940), il maestro alla diciannovesima generazione insieme ai suoidiscepoli più
alti in grado, decisero di usare solo più il nome originale,Tenshin Shoden
Shintō-ryū.
Attualmente,
la famiglia lizasa risiede ad un chilometro a sud del santuario di Katori. Da
sempre, venera come divinità tutelare il dio guerriero Marishiten-son (Marishi-deva).
Il giorno
della pecora ad inizio di gennaio, è stato fissato come giorno d’inizio
dell’allenamento. A quest’occasione, tutti si riuniscono col maestro attuale
per una cerimonia di commemorazione degli antenati, discendenti di Ienao, e
fanno dono di cinquanta corde sacre e di cinquanta mochi (dolci diriso)
In più, la
Shintō-ryū è stata la prima scuola di budō giapponese adessere nominata come
“eredità culturale spirituale” in aprile del trentacinquesimo anno dell’era
Shōwa (1960).
iai-jutsu e la sciabola
Con l’iai-jutsu,
quando si cammina di notte o anche quando si è all’interno di una stanza,
se si èattaccato di sorpresa, bisogna allora uccidere il nemico mostrando una
vivacità superiore alla sua, cioè “sfoderare in un attimo”.
L’iai-jutsu
della TenshinShoden Katori Shintō-ryū viene chiamato iai-goshi(iai
di anca) perché in molti casi, le posture sono accovacciate. Questo viene
dall’epoca feudale dove gli esploratori si spostavano di luoghi più in basso in
luoghi più in basso in modo di potere facilmente individuare il nemico
appostato sulle alture la quale linea si ritaglia nel cielo. Allo stesso modo,
quando fa buio, è più sicuro adottare una postura bassa anche, il principio
fondamentale nel combattimento alla sciabola all’interno, è di combattere con
un ginocchio a terra.
I kata di
kobudō riproducono tutte le situazioni possibili. Quand’anche si tratti
di kata dibudō, bisogna sempre ricercare la velocità fino a
riuscire a sfoderare in qualche frazioni di secondo, in qualchedecimi di
secondo. Questo è nuki-uchi (sfoderare e tranciare). In compenso, alla
fine del combattimento, per riporre la spada nel fodero, bisogna indugiare.
Certi maldestri si tagliano volendo rinfoderare velocemente e questo non è
dell’iai-jutsu.
Bisogna
considerare la sciabola come un estensione del nostro proprio corpo. Un
insegnamento dice: Katate-uchiwa go-sun no toku ari (un colpo ad una
sola mano è un vantaggio di una quindicina di centimetri). Se non si può
utilizzare l’arma indifferentemente con la mano destra o con la mano sinistra,
con la stessa facilità che con la punta delle dita, la tecnica è allora lenta.
Se, al momento di fare a pezzi il nemico, il taglio della sciabola non si
sposta come la coda di una cutrettola,questo lo schiverà. Informare
l’avversario delle proprie intenzioni con l’attitudine o la lentezza (attacco
al viso, colpisco al polso), non è del budō.
Ma prima di
allenarsi ad andare veloce, è necessario avere un giusto apprezzamento della
propria forza.
Yagyu
Renyasai, maestro della Shinkage-ryū, usava un daitō (sciabola lunga)
che aveva una lama di soltanto 1 shaku (30 cm) 9 sun (3 cm) 8 bu
(un centesimo) ossia cinquantacinque centimetri ed un shōtō (Sciabola
corta) di circa 1 shaku 3 sun 3 bu (trentanove centimetri).
Durante il
periodo Sengoku, dell’era Ōnin (1467-1469) alle ere Genki(1570-1573) ed anche
Tenshō (1573-1592), ossia quasi un secolo, molte sciabole con la lama di una
sessantina di centimetri sono state fabbricate. Ci sono in particolare molti
modelli Bizen e queste armi, specialmente forgiate per un uso in nuki-uchi con
una mano, non sono“anonime” ma sono tutte state firmate. Ecco la prova della
necessità nel kejutsu , di una rapidità di tecnica superiore a quella
del nemico.
Quando c’è
molta nie(cristallizzazione dell’acciaio dovuta alla tempra e risultando
dopo la politura) e che lo yakiba (partetemprata della lama) risale
praticamente fino al shinogi (costola sul fianco della lama), è
sicuramente molto estetico ma è anche segno di una certa fragilità. Deve essere
per questo che le lame forgiate nelle tradizioni Sōshū o Osaka Shintō hanno la
reputazione di rompersi facilmente.
Più la punta
(kissaki, boshi, linea di tempra alla punta) è piccola, meglio è. Dei
grandi boshi sono efficaci, soprattutto contro le armature di pelle, ma hanno
per difetto di rompersi facilmente e, in più, non sono pratici quando si tratta
di sfoderare o di rinfoderare.
Yamamura
Saneo, guerriero dei feudi Shinshu, fratello maggiore di YamauraKiyomaro
(fabbro dal 1813 al 1834 di sciabole Shin Shintō la qualeparticolarità è un nioi
simile al nie ma d’aspetto più vivo, appare comeuna zona brumosa
sullo yakiba), della fine dell’era Edo (1600-1868) ha scritto in Oino
nezame (il risveglio di un uomo anziano):
“ La mia
lunga esperienza mi ha insegnato a scegliere una sciabola secondo criteri
differenti da quelli di altri uomini. Ad esempio, quando cingete la vostra
sciabola, bisogna portarla allo stesso modo che un animale porta le sue corna,
naturalmente, che sia parte integrante del vostro corpo. Una buona arma non
deve essere d’intralcio se dovete attraversare un precipizio, ne deve farvi
stancare se fatte una lunga strada e che deve farvi coraggio. D’altra parte,
una sciabola di debole curvatura è poco pratico da portare, trancia di meno e
rappresenta uno svantaggio sul campo di battaglia perché è facile opporsi con
successo al colpo in hira-uchi (lasciare la lama scivolare lungo la sciabola
dell’avversario fino a quest’ultimo). È importante pesare il pro ed il contro di
una sciabola prima di sceglierla.”
Questo è un
passaggio delle parole importanti sulla sciabola deiguerrieri di Yamaura Saneo,
discepolo di Nakanishi Chube-e della scuola Itto.
Tranciare un
oggetto fisso (suemonokiri)o tagliare un casco (kabutokiri)necessita
una buona tecnica anche dopo l’impatto e forse è meglio usare una sciabola
lunga e pesante ma nel bujutsu, il combattimento termina quando
l’avversario è stato colpito. Una sciabola lunga epesante è perciò inutile. Si
dice, e ne vedo spesso, che le armi firmate non sono mai appesantite in avanti
e che possiedono una grande qualità di taglio,ma per farsi un opinione non
bisogna tenere conto del tagliente. Una vera sciabola ad uso marziale deve
avere una lama perfettamente ben tenuta, un boshi il più piccolo
possibile e deve potere reggere una pratica reale.
Per un
giapponese di oggi di altezza media, la buona sciabola d’iai avrà una
lama di circa 2 shaku 3 sun 5 bun (sessantottocentimetri),
una curvatura di 6% ed il suo peso non sarà troppo sul davanti. Adesso, se la
lunghezza va bene ma che il peso è situato troppo sul davanti,adattandogli una
guardia (tsuba)spessa e pesante, si ristabilirà perfettamente
l’equilibrio.
Attualmente
viviamo in un periodo di pace e le sciabole sono solo piùvalutate che per il
loro valore estetico, ma non bisogna dimenticare tutte lequalità della sciabola
giapponese originale.
Forgiare il proprio carattere
È la forza
interiore che rende l’uomo degno di questo nome. Colui che vuole rinforzare il
proprio carattere può trovare un prezioso aiuto nelle discipline tradizionali.
Che scelga di studiare il buddismo, il confucianesimo(jukyō), lo
shintoismo (shintō), la calligrafia (shodō), la cerimonia del tè
(chadō) o l’arte dei fiori (kadō), ognuna di queste vie (dō)
è, per chi ci si impegni sinceramente, il mezzo per raggiungere lo scopo ultimo
dell’uomo: realizzarsi.
Un
vecchio poema dice:
“Per quanto
possano essere numerosi i sentieri ai piedi di una montagna, tutti quelli che
giungano alla sua vetta, vedono la medesima luna.”
Di tutte le
vie offerte all’uomo per diventare forte e generoso, sono sicuramente i budō
(arti marziali)che rappresentano il rischio più grande per il corpo. È per
ciò importante allenarsi in modo da non ferirsi.
Lo studente
deve tenere in mente che maneggiare la sciabola con odio e violenza trasforma
l’arma in satsujin ken(spada dell’omicidio). Numerosi schermidori hanno
perso la vita perché il loro spirito ed il loro cuore non erano giusti. È solo
quando l’uomo di spada si allena con un cuore ed uno spirito giusti che la
sciabola che adopera diventa katsujin ken, la sciabola che da la vita.
Il Bushidō
è un concetto che richiede di sviluppare lo spirito del dono di se stessi,
uno spirito che richiede ad ognuno di essere pronto a dedicare la propria vita
all’altro, che,in cambio, non potrà che inchinarsi davanti al valore di colui
che si offre. Secondo le regole del Bushidō, un guerriero accetta di
morire per qualcuno che lo ha capito in modo sincero. Questo concetto è
considerata dai puristi come l’espressione dell’emozione più profonda e più
sincera che ci sia. In questo modo, l’impegno sincero verso gli antenati prende
la forma del rispetto e diventa amore quando viene rivolto aipiù giovani. Per
apprezzare qualcuno, per quanto umile possa essere il suo ceto sociale, è
necessario guardarlo con calore e sensibilità. È soltanto in questo modo che
l’uomo può sviluppare quello che c’è di autentico in lui senza lasciarsi
influenzare dallo stato sociale.
Lo spirito
d’abnegazione ricorda ai giapponesi il glorioso periodo feudale del Giappone,
però questo spirito non è l’appannaggio dei guerrieri. Oggi giorno, in un
periodo dove regna la pace, rimangono ancora prove vive della sua esistenza.
Penso che questo sia una cosa importantissima. Perciò nella nostra società
moderna, incontriamo delle persone sempre pronte ad aiutare e che accettano
volentieri compiti duri ed ingrati, alcuni aiutano i più bisognosi, altri danno
in eredità le loro ricchezze alla comunità. Tutti questi esempi sono atti di
coraggio morale e di manifestazione dell’autentico spirito d’abnegazione.
La società
non potrà mai diventare un luogo di vita gradevole per tutti finché i suoi
membri conteranno sui altri per fare le cose che necessitano “il dono di se”.
Ci sono individui, egoisti e cupidi, che non esitano a distruggere tutti quelli
che si trovano tra loro ed il loro successo. La ricchezza garantirà a quello
che la possiede che i suoi eredi sapranno usare i soldi che ha accumulato lungo
una vita in modo giusto? L’esperienza dimostra che ci s’incontrano spesso degli
eredi che sprecano al gioco le ricchezze accumulate dai propri genitori e così
permettendo a della gente mal intenzionata di farne un cattivo uso,
perpetuando di questo fatto la catena della sfortuna.
Si racconta
che Saigō Takamori (1827-1877), un eroe dell’epoca Meiji,avrebbe detto: “Non
lasciate nessun bene in eredità ai vostri figli”. Personalmente, sono del
suo parere. Un individuo che non ha attraversato qualche prova nella sua vita
non può diventare un uomo di carattere, forte. Allo stesso modo non ci si può
capire un azione generosa e sincera se non si è fatto l’esperienza della
sofferenza. Ci rendiamo conto che le piante cresciute in serra muoiono quando
le trapiantiamo all’aria aperta. Inoltre, si sa bene che i fiori che crescono
lungo le strade resistono meglio al freddo, al vento ed alla pioggia. Da
sempre, gli esseri viventi nascono, vivono e muoiono lasciando spazio ai loro
eredi. Nello spirito del buddismo, questo processo si chiama “rinne”(trasmigrazione
di un anima di corpo in corpo).
In questo
vasto universo, l’uomo ha ben poco tempo da vivere; se mai un centinaio di
anni! Accendete un fiammifero. Prende fuoco, si consuma e si spegne in qualche
secondi ma il fatto che questo fiammifero si sia consumato rimarrà per
l’eternità.
Nel
sutra Mujō Dōzen, alcapitolo Michi, possiamo leggere:
“Né le cose, né la potenza, né le condotte virtuose non si
limitano ad essere semplici fatti temporali. Non spariscono mai anche se
sembrano darne l’apparenza, non smetteranno di andare e venire nel mondo
nascosto (inconscio) secondo la legge naturale della causa e dell’effetto.”
I grandi schemi del comportamento
umano, ereditati dal passato, sono impressi nelle nostre
memorie. Un vecchio poema ci dice che la vita di un uomo è di durata breve:
memorie. Un vecchio poema ci dice che la vita di un uomo è di durata breve:
“L’uomo
dovrebbe essere generoso,
Anche se il
suo tempo da vivere è così effimero
Come la
goccia di rugiada sulla bella di- giorno.”
Ecco un esempio che illustra
perfettamente la nostra idea: la bella- di-giorno sboccia durante le prime ore
del mattino e appassisce al calar della notte ma l’uomo potrebbe vivere ancora
meno a lungo di questo fiore,perciò il poeta preferisce paragonarlo alla goccia
di rugiada.
Dovremmo
dare un senso ad ogni giorno della nostra vita e sforzarci di raggiungere
questo scopo per non avere a rimpiangerlo domani. Ad ognuno il suo destino, ad
ognuno la sua fetta di successo. Abbiamo visto che numerose persone che, ignorando
lo scopo della loro esistenza, sono andati oltre i propri limiti e hanno perso
tutto.
il buddismo esoterico e l’arte della sciabola giapponese
a.
Isegni ku-ji e jū-ji.
L’allenamento
con la sciabola mira all’eccellenza della tecnica e all’acquisizione di
un’abilità che deve permettere di sbarazzarsi di un nemico con un solo colpo di
sciabola. Ma il guerriero rispetta anche il principio secondo il quale
l’apprendistato delle arti marziali e le capacità che permette di sviluppare
devono solo servire ad instaurare la pace. Questo adempimento e la sua
applicazione rimandano alla nozione di heihō(legge dell’equilibrio) e kappō(legge
dell’azione).
Heihō è inglobato nel concetto buddista di
fudō-shin e costituisce di conseguenza la verità ultima e lo
statod’illuminazione che il degno rappresentante degli arti marziali ricerca. È
durante i tre anni (804-806) passati nell’antica capitale della Cina che
Kūkai(Kobō Daishi, 774-835) imparò i misteri del buddismo esoterico shingon.
Lo si riconosce anche come quello che ha portato dalla Cina al Giappone
questa forma di buddismo moltovicina alle sue radici indiane. La setta shingondi
Kukai ha il suo centro al Tō-ji, un tempio di Kyōto.
La setta shingon
studia il juhō (arte degli incantesimi e delle formule magiche) e l’hōjutsu
(la magia). Le realizzazioni adatte a queste arti non possono ancora ai
giorni nostri essere spiegate con l’analisi scientifica. In Cina,diversi
strateghi autoctoni legarono gli insegnamenti esoterici con l’arte della guerra
e indirizzarono delle applicazioni pratiche sui campi di battaglia. Nel
Giappone anche, dei grandi poeti buddisti come Kūkai e Nichiren (1222-1282)
così come altri grandi uomini e tra questi dei generali famosi studiarono
queste discipline esoteriche e le usarono per compiere delle prodezze senza precedenti.
En-no-Otsunu
(En-no-Gyoja o En-no-Shokaku, 634-701), un mistico asceta,si allenò nelle arti
estoteriche per sviluppare i suoi poteri occulti. Sono lesue arti esoteriche
attribuirono al Tenshin Shoden Katori Shintō Ryū certepratiche magiche che
troviamo associate al jū-ji-no-hō (legge delle dieci lettere).
Nell’antichità,
i guerrieri apposero spesso il segno di ku-ji (nove lettere) sulla lama
o la guardia delle loro armi preferite oppure incidevano il jū-ji (dieci
lettere) sulla seta di quelle armi.
Fujishimo
Yoshio ha citato nel capitolo intitolato “Kotō” (sciabole antiche) del suo
libro “Nihon Tōkō Jiten” (dizionario giapponese deifabbricanti di sciabole)
l’esistenza di una seta (nakago) che porta un’iscrizione con il segno
esoterico jū-ji portato sulla lama fabbricata da Hiroyoshi della scuola
Yamashiro di fabbricazione di sciabole. Dei segni simili sono stati scoperti
sulle mura d’antichi castelli. Questi simboli magici sono usati per
rappresentare il desiderio molto sincero dell’utilizzatore,fortificato dalle
preghiere, di essere vittorioso in un duello o in una spedizione punitiva. Il
segno di dieci lettere (jū-ji) trovato sulle mura di castelli avevano
forse la funzione di proteggere l’edificio contro la conquista dai nemici.
D’altro canto è anche possibile che questi segni siano delle prove che gli
maestri di queste arti occulte, i ninja, in provenienza dal nemico si
siano intrufolati travestiti nelle vicinanze del castello per incoraggiare una
ribellione latente all’interno scrivendo questi segni.
L’utilizzo
di questi simboli magici trova la sua efficacia superiore quando diventa capace
di portare delle reazioni psicologiche. Fare uso di queste reazioni diventa un
aspetto maggiore della strategia guerriera fondata sull’invocazione dell’aiuto
degli dei per farli contribuire alla riuscita dell’obbiettivo.
All’epoca
feudale ogni guerriero di qualsiasi rango soccombeva al fatalismo. Nei caschi (kabuto),
tsorte. Troviamo anche dell’invocazioni destinate ad una moltitudine di divinità
per farsi che visitino la corona del casco in segno di protezione del suo
proprietario. Ci sono anche dei caschi che portano dei simboli particolari rappresentando
Amarterasu-o-mi-kami, ladea Sole su delle specie di creste sul davanti del
casco (maedate). Ci sono anche degli stendardi che portano l’immagine di
Hachiman Daibosatsu, la divinità della guerra. Con una tale fiducia nell’efficacia
esoterica dei simboli, i guerrieri non esitavano a buttarsi di testa prima nei
ranghi nemici per affrontare l’avversario con lo scopo di realizzare le
valorose prodezze che le loro preghiere li dava il diritto disperare.
La seconda
guerra mondiale è ancora viva nelle nostre memorie che si ricordano dei soldati
partendo per il fronte portando con se il sen.nin-bari, la cintura dai
mille punti attorno alla vita o in un amuleto appesa alla vita. Un campo
di battaglia è il terreno dove si oppongono la vita e la morte ed quello che
permette un risultato vittorioso è la combinazione di un talento altamente
allenato e di una potente volontà. Quello che conta di più in combattimento è
la potenza che la volontà decisa del guerriero permette dimostrare.
È naturale
che i guerrieri dell’epoca classica diano così tanta importanza alle dimensioni
esoteriche visto che le loro invocazioni gli permettevano di essere fiduciosi
nelle loro imprese. La pratica esoterica del ku-ji e del jū-ji è
legata all’arte della sciabola. Di solito, il guerriero,dopo aver tracciato il
segno “tō” (sciabola)o “chiken” (sciabola simbolica) con le dita
della sua mano destra sul palmo della sua mano sinistra, aggiunge il ku-ji, poi
il jū-ji. Quando questo rituale è fissato sulla superficie esterna di un
foglio di carta o scritto su una sciabola, un semplice punto fa da decima lettera
per evitare che il messaggio sia accessibile ad altri. Si dice che l’emblema
dell’antica annata imperiale giapponese (una stella) è stato concepito a
partire dal segno a forma di stella fatto dalle nove lettere.
b.
Ku-ji,le nove lettere.
RIN,
il simbolo di hōbyo (tesoro, bottiglia) rappresenta Tamon-Ten-no-Jin (Vaisravana),
una divinità guerriera ed uno dei quattro dei devas (Shin-tenno)che sono i
guerrieri delle quattro direzioni nel mondo di Buddha. Delle parole sacre
devono essere invocate nel momento in cui il segno viene tracciato:
ON BAI SHIRA MAN TA YA SO WA KA.
PYO, il simbolo di konrin (cerchio
d’oro) rappresenta Kasanze Yashe Myō-ō Jin (Trailokyavijaya), uno dei cinque Myō-ō(Godai
Myō-ō) del buddismo. Delle parole sacre devono essere invocate nel momento
in cui il segno viene tracciato:
ON I SHA NA YA IN TA RA YA SO WA KA.
TO, il simbolo di gai-jishi (il
leone esteriore) rappresenta Jikoku-Ten-no-Jin (Dhrtarastra), uno dei quattro
dei devas, i guardiani del buddismo. Delle parole sacre devono essere invocate
nel momento in cui il segno viene tracciato:
ON JI RE TA
RA SHI I TA RA JI BA RA TA NO-O SO WA KA.
SHA,
il simbolo di nai-jishi (il leone interiore) rappresenta Kongo Yasha
Myō-ō Jin,uno dei cinque Myō-ō del buddismo. Delle parole sacre devono
essere invocate nel momento in cui il segno viene tracciato:
ON HAYA BAI SHIRA MAN TA YA SO WAKA.
KAI,
il simbolo di gaibaku (il legame esteriore) rappresenta Fudō Myō-ōJin (Acalanatha),
uno dei cinque
myo ( Divinità della buona sorte
) ci troviamo incise
delle figure del Daikoku-ten (Mahakala), la divinità della buona uno dei cinque
Myō-ō del buddismo. Delle parole sacre devono essere invocate nel
momento in cui il segno viene tracciato:
ON NOO MA KU
SAN MAN DA BA SA RA DAN KAN.
JIN,
il simbolo di naibaku (il legame interiore) rappresenta Gundai Yasha
Myō-ō Jin(Kundali), uno dei cinque Myō-ō.Delle parole sacre devono
essere invocate nel momento in cui il segno viene tracciato:
ON A GA NA
YA IN MA YA SO WA KA.
RETSU,
il simbolo di chiken (la sciabola simbolica) rappresenta Kōmoku Tennō
Jin(Virupaksa), uno dei quattro re devas e guardiani del buddismo. Delle parole
sacre devono essere invocate nel momento in cui il segno viene tracciato:
ON HI RO TA
KI SHA NO GA JI BA TA I SO WA KA.
ZAI,
il simbolo di nichirin (il sole) rappresenta Dai-itoku Yasha
Myō-ō Jin(Yamantaka), uno dei cinque Myō-ō del buddismo. Bisogna
invocare queste parole sacre quando si fa il segno:
ON CHI RI
CHI I BA RO TA YA SO WA KA.
ZEN,
il simbolo di inkei (ombra) rappresenta Zōchō Ten no Jin (Virudhaka),
uno dei quattro re devas e guardiani del buddismo. Bisogna invocare queste
parole sacre quando si fa il segno:
ON A RA BA
SHA NO-O SO WA KA.
Si fa
il segno delle nove lettere per entrare in uno stato di cancellazione di se
grazie alla concentrazione che libera dalle preoccupazioni terrestri. Lo stato
di cancellazione di se è molto simile ad una dimenticanza di se. Incontriamo a
volte questo stato nei bambini o nelle persone anziane che sembrano assenti,
non rivolgendo la loro attenzione su nulla, prendendo il sole d’inverno. È uno
stato di dimenticanza di se. C’è solamente una piccola differenza tra la
dimenticanza di se e la cancellazione di se. Colui che cerca questo stato deve
passare per un allenamento molto arduo prima di diventare capace d’immergersi
al momento scelto e velocemente. Raggiungere questo stato usando dei segni
della mano si chiama inkeio musubu (“fare un patto”). Tutte le culture
umane hanno in comune di esprimere i loro sentimenti più profondi a traverso
dei gesti della mano e delle dita. La tradizione indiana chiama “mudra”questi
segni effettuati con le mani.
c. Jū-ji,la
decima lettera.
Tai (grand)è usato quando si sta di
fronte al nemico più spaventoso che si possaimmaginare o a dei nemici in grande
numero.
Ryū (dragone)è usato per evitare un
disastro quando si attraversa una distesa d’acqua(attraversare il mare).
Ki (demone)è usato per deviare la
malattia.
Shō (vittoria)è usato per il
combattimento in generale.
Ichi(un) è usato per evitare di perdersi
la notte in contrade sconosciute.
Questi
segni che rappresentano la decima lettera possono essere realizzati sul palmo
della sua mano o su un foglio di carta.
arsenale di difesa e omote-waza
Arsenale di
difesa e omote-waza.
Prima
di parlare del metodo di combattimento del Tenshin Shōden KatoriShintō Ryū, è
necessario esporre brevemente gli elementi che hanno costituitola strategia
difensiva del Giappone antico.
Lo sviluppo
delle difese ha seguito quello dei metodi d’attacco. Gli elementi di difesa
andavano dalla conoscenza del clima alla topografia passando dalla protezione
fisica tali i castelli, gli scudi o le armature. Le prime armature era fatte di
pelliccia e di pezzi di legno o di corteccia.
Nel Giappone
antico, esistevano delle armature di tipo tankō e di tipo keikō.
Numerosi caratteri possono essere usati per indicare il casco e l’armatura: katchu,
yoroi-kabuto,kabuto-yoroi. Questi caratteri fanno riferimento all’epoca o
al loro metodo di fabbricazione.
Yoroi può anche chiamarsi: tankō,keikō,
ō-yoroi, dōmaru, hara-maki o gusoku.Il tempo aiutando, è stata
migliorata in modo ad accrescere la mobilità di quello che l’indossava ed ad
adattarla alle variazioni delle forme di combattimento.
Heihō, com’è stato menzionato in
precedenza, significa “vincere senza lottare”. È l’espressione del principio
che esige da quello che si è impegnato a dominare il suo avversario non
soltanto sul piano tecnico ma anche con la superiorità del materiale e dello
spirito. Per avere successo, deve essere superiore all’altro da ogni punto di
vista, compresa l’intelligenza. È per questo che deve conoscere perfettamente
tutti gli elementi, sia difensivi che offensivi.
L’armatura
giapponese, proprio come la sciabola giapponese sono oggetti di una rara
bellezza, adempiendo perfettamente il loro ruolo e sempre lavorati nell’essenza
dell’arte.
Ma qualunque
sia la cura con la quale viene fabbricata l’armatura, dei punti deboli
inevitabili rimangono perché deve essere articolata per permette real guerriero
di spostarsi. Lo scopo dell’omotowaza (tecniche visibile) della scuola
Tenshin Shōden Katori Shintō è di usare i difetti dell’armatura. Perciò, quando
lo schermidore desidera tagliare l’avversario alla gola, deve fare scivolare il
taglio della sciabola (surikomu) sotto la mascella, lungo l’arteria. Per
raggiungere il corpo, dovrà mirare alla zona situata tra la corazza (dō) ed
il gambale (kusazuri). Questa parte dell’armatura è costituita da un
sistema di stringhe, largo una decina di centimetri che permetterà di portare
il colpo al livello delle anche. Per tagliare l’avambraccio (kote),
visto che la superficie esterna è protetta da placche di metallo e da cotte di
maglia, dovrà mirare all’interno del polso protetto soltanto da un tessuto
imbottito. Questa zona è particolarmente vulnerabile perché il sistema
arterioso è sottostante. Per sezionare le gambe, mirerà all’interno della
coscia, attraverso l’haidate (stivali). Infine, per colpire al petto,
piazzerà la sua sciabola orizzontalmente, il taglio diretto verso sinistra(vedi
pagina 169). Questo metodo è molto efficace e costituisce una delle tecniche
fondamentali di taglio alla sciabola.
Un’armatura
leggera pesa una decina di chili ma certe pesano fino aventi chili o più. Una
delle conseguenza di questo carico è che piazzato in kamae (posizione di
guardia), non si può alzare i talloni dal suolo come lo si fa nel kendō moderno.
Una delle caratteristiche dei kata della scuola Tenshi Shōden Katori
Shintō è che sono stati concepiti per permettere ai praticanti di conservare la
loro efficacia fisica nonostante l’armatura indossata.
i giapponesi e la spada
Da
sempre, la sciabola giapponese è stata oggetto di timore e di stupore per tutti
i popoli del mondo. Quest’arma, sicuramente efficace, è anche un oggetto che
ispira i valori spirituali del popolo giapponese. In certi casi,la sciabola
giapponese può essere deificata e consacrata come oggetto di culto nei santuari
shintō. Nella legge di Buddha gli è stato concesso il ruolo di protettore, cioè
“la sciabola sacra con la quale si allontana l’influenza nefasta dei mali”; se
viene usato con l’intento di nuocere, diventa allora “la sciabola magica
rivolta contro l’uomo”.
Le antiche
espressioni giapponesi ci ricordano questi aspetti esoterici: Sori ga awanai
prende il senso figurato di “non andare d’accordo con qualcuno”; moto no
saya ni osamatta vuole dire “svuotare una disputa e riconciliarsi”; “seppa
tsumatte”
significa
“essere spinto in un angolo”; et “shinogi o kezutte”,“rivaleggiare con
qualcuno su qualcosa”. Questo dimostra che, anche se non ne siamo molto consci,
la comunità giapponese contemporanea rimane profondamente impressa dal
mondo delle arti marziali.
Quando noi
altri, giapponesi, accenniamo alla sciabola o quando la guardiamo, sono i
nostri antenati che ci ritornano in mente. Possiamo quasi sentire le
conversazioni dei guerrieri ai quali è appartenuta l’arma.
I
motivi ed i rilievi incisi sulle lame non sono presenti solo a scopo decorativo.
A volte, si decide di togliere una parte importante del metallo (ad esempio
scavando una gola) per equilibrare meglio la lama e facilitare il suo uso.
Usare una sciabola alleggerita è un vantaggio certo sull’avversario,perciò la
migliore sciabola sarà sia potente che affilata e leggera. Quando si colpisce
di taglio, la gola della lama contribuisce ad aprire la piaga ed evita così
alla lama d’aderire alle carni nell’azione.
Fra i motivi
impressi all’epoca Shintō (“nuova sciabola”, 1596-1781),troviamo spesso
rappresentato dei fiori di ciliegio, dei pini, dei bambù, delle prugne o delle
carpe ma, salvo questi motivi, tutti gli altri hanno un rapporto con il
buddismo esoterico: figure buddiste, caratteri sanscriti, draghi kurikara,
et sammayagata ...Fra questi motivi religiosi, troviamo Fudō Myō-ō
(Alcalanatha) e Aizen Myō-ō (Ragaraja), i “Buddha furiosi”, tenendo
una sciabola ed una corda. Su altre lame, il Buddha è inciso nella sua postura
abituale: seduto su un piedistallo decorato di foglie di loto con in mano un
fiore di quella pianta. Quelli che seguono, l‘insegnamento del buddismo
esoterico fanno anche incidere sulla loro lama degli oggetti di culto tale il dokko
(randello di ferro) e il sanko (vajra a tre punte). Ogni
volta che un guerriero combatteva,rischiava la sua vita. Nulla era più
rassicurante che mettersi sotto la protezione delle divinità di Buddha o shintō
ed era logico che facessero incidere sulla loro sciabola delle rappresentazioni
di potenti divinità.
I fabbri
stessi, erano immersi nello stesso universo religioso:pregavano purché la
sciabola che forgiassero e nella quale mettevano corpo e anima, assicurasse la
protezione del suo proprietario garantendogli la vittoria.
È grazie
all’analisi di queste incisioni che possiamo stabilire in modo certo lo stretto
legame che esisteva tra le credenze religiose di Buddha oshintō, il buddismo
esoterico e heigaku (scienza marziale).
Una
celebra sciabola, caratteristica di quel periodo (classificato tesoro
nazionale) è il Bizen-no-kuni Osafune-ju Kagemitsu, chiamato anche KoryūKagemitsu.
Si dice che sarebbe appartenuto a Dainankō (Kusunoki Masashige, ✝ 1336).Comporta incisioni in rilievo, d’autentiche kurikawasu un
lato e bonji (caratteri sanscriti) sull’altro. Il Kurikara rappresenta
un kenmakiryū (un drago arrotolato attorno ad una sciabola) ed incarna
un’entità fondamentale di Shingon Mikkyō (setta shingon del buddismo
esoterico): Dai-nichi Nyorai(Mahâvairocana), Fudō Myō-ō (Acalanatha) ed
il drago Kurikara (Kulika) sono tutt’uno di corpo e di spirito e,
l’ira negli occhi, si arrotola attorno alla sciabola della giustizia.
Il Bonji (chiamato
anche shuji) si legge “kan-man”. Dall’epoca dell’antica India, si
usava che il shuji rappresenti un oggetto simbolizzato da un carattere.
Ogni carattere rimanda a dei significati complessi: qua, “kan” significa
“Acala”. “Kan-man” sono gli ultimi due suoni di un incantesimo d’Acala
Shingon:No-maku-san-man-da-ba-sa-ra-da-sen-da-ma-ka-ro-sha-da-so-wa-ta-ra-kan-man.
Maestro
Masashiue era un personaggio celebre della storia del Giappone per la sua
conoscenza eccezionale della scienza marziale. Il Koryū Kagemitsu attesta
che era un adepto del buddismo esoterico d’Acala.
Perciò,
quando citiamo la sciabola giapponese quando la guardiamo, lanostalgia dei
nostri antenati si risveglia in noi ed una sensazione di comunicazione si
stabilisce tra noi e gli storici capi guerrieri ed i loro guerrieri.
È molto bello
vedere che al giorno d’oggi, oltre mezzo secolo dopo la seconda guerra
mondiale, delle cerchie di fabbri di sciabole intraprendono con determinazione
e successo delle ricerche approfondite sulle antiche sciabole edil loro
restauro e che, peraltro, certi compiono delle tempre simili a quelle dei loro
pari dell’epoca Kamakura (1185-1333). Supponiamo che gli anni di guerra sono
stati un periodo di gestazione per i fabbri che oggi, tornata la pace, sono in
grado di produrre ottime sciabole.
Evoluzione della spada giapponese
Jokoto(IV-VIIIsec.
d.C):
Questo è il
periodo più antico per quanto riguarda le spade giapponesi.
I reperti
trovati provengono dai Kofun( tombe a cumulo) tra il IV e il IX sec
e da altri
reperti trovati a Nara nel tempio di Todaiji.
Le spade di
questo periodo sono dritte a uno filo o doppio filo.
Tardo
Heian-primo Kamakura(XII sec.)
In questo
periodo nasce la spada curva, anche se non ancora come la conosciamo oggi.
Le
caratteristiche di questa lama sono innanzitutto la presenza dello shinogi, poi
la notevole differenza in termini di larghezza, tra kissaki (punta) e il
fumbari( forte della lama cioè l' estremo opposto della punta).Il
sori(curvatura) invece è di tipo koshizori( più vicino all'impugnatura).
La scelta di
questa struttura era dettata dal fatto che una delle più importanti unità
dell'esercito era la cavalleria e questo tipo di curvatura agevolava
l'estrazione da cavallo.
Ricordo
inoltre che la tachi veniva portata con il filo rivolto verso il basso ed era
appena alla cintura tramite due sospensori.
Medio
Kamakura (metà del XIII sec.)
In questo
periodo storico il samurai vede l'affermarsi del suo potere.
Le tachi di
questo periodo sono più spesse delle precedenti minor larghezza del fumbari e
una curvatura più accentuata, mentre lo shinogi si sposta leggermente verso il
mune( dorso della spada).
Tardo
Kamakura (inizio XIV sec.)
In questo
periodo le lame diventano più massicce, la larghezza infatti diventa uniforme
pressochè su tutta la lunghezza. anche il kissaki diventa più grande.
Nanbukucho(seconda
metà del XIV sec.)
In questo
periodo fanno la loro comparsa le lunghissime tachi di oltre 90 cm di lunghezza
anche i tanto subiranno dei sovradimensionamenti. Tuttavia la misura eccessiva
spesso veniva usata sui campi di battaglia per incutere timore e per l' ostentazione
di ricchezza da parte dei daimyo ( signori feudali), ma dal lato pratico
l'eccessiva lunghezza rendeva l'utilizzo difficoltoso, quindi si optò
successivamente per accorciarle tramite suriage, ed adattarle alla lunghezza
delle katana.
Primo
Muromachi ( tardo XIV tardo XV sec.)
in questo
periodo invece gli spadai tornano a forgiare come nello stile Kamakura specie
per wakizashi e tanto.
Tardo
Muromachi( metà del XV sec.)
Questo
periodo è caratterizzato da guerre incessanti,chiamata epoca Sengoku.
Qui la
cavalleria lascia spazio alla fanteria. Si diffonde cosi la uchigatana che
viene utilizzata infilata nell'obi e con il filo rivolto verso l'alto. la
curvatura della lama si sposta verso il centro in modo da facilitarne
l'estrazione e nasce cosi l'esigenza di estrarre e colpire in un solo
movimento.
In questo
modo si rendeva l'azione più veloce e letale. Successivamente questi movimenti
verranno codificati nello iai-jutsu.
Momoyama(
1568-1603)
In questo
periodo gli spadai si concentrano intorno alle città fortificate, in modo tale
da rendere più agevole e sicuro il trasporto di materiali per la forgia.
Nello stesso
periodo alcuni spadai optano per rifornirsi all'esterno per lo più l 'acciaio
proviene dalla
Korea oppure
dall'India e zone limitrofe.
Edo(
1603-1868)
Questo è un
lunghissimo periodo di relativa pace, anche le spade ne risentono, infatti le
spade di quest'epoca sono più sottili ma molto più taglienti in quanto non dovendo
più impattare contro molte spade o armature non necessitavano più di una
massiccia struttura.
Meiji( 1868-
1912)
In
quest'epoca vi furono importanti cambiamenti politici.
Finito ormai
lo shogunato dei Tokugawa l'imperatore con un editto vieta a chiunque di
portare armi in pubblico, tranne ovviamente l'esercito imperiale. i samurai si
vedono portare via ogni privilegio,
persino
quello di portare il daisho in pubblico. In questa situazione la produzione
di spade cessa quasi del tutto.
Taisho
(1912-1926)
Qui alcuni
grandi spadai, sotto la protezione dell'impero, riprendono la produzione di
spade
affinchè non
muoia questa tradizione.
Showa (
1926-1989)
Nonostante
la produzione di massa avvenuta nella seconda guerra mondiale per rifornire
l'esercito,
alcuni
spadai decidono di riportare in vita le antiche tecniche di forgiatura.
Storia della yoroi
Primi esempi
di yoroi
I primi
esempi di armature giapponesi si chiamavano Tanko ed erano composte da placche
metalliche assemblate assieme da vari lacci, per infine essere laccate per
proteggere il metallo dall'umidità del clima giapponese.
Questo stile
di armature era inoltre incardinato da un solo lato con la chiusura frontale.
I primi
esempi di queste armature si possono collocare tra il quarto e il sesto secolo.
Dal sesto
secolo in poi infatti l'armatura giapponese subisce svariate migliorie.
Queste
armature chiamate keiko infatti garantivano una maggior mobilità in battaglia a
colui che la indossava.
Gli studi
fatti su queste armature derivano dai reperti trovati nei tumuli
funerari di guerrieri ma, dal momento che questa tradizione
cadde in disuso con l'introduzione del buddismo nel nono secolo purtroppo le
conoscenze sull'argomento sono scarse.
Il primo
medioevo
La forma
classica che siamo abituati a vedere nei musei oggigiorno viene chiamata
comunemente
O-yoroi.(img:135424013256709)
Il
sedicesimo secolo fu un periodo molto intenso, ricco di scontri quindi anche
l'armatura doveva evolversi per far fronte alle necessità belliche.
L'epoca
Sengoku Jidai infatti vide svariati scontri tra le varie fazioni e daimyo
presenti sul suolo giapponese. La yoroi dovette dunque cambiare.
Aumentarono
dunque le piastre metalliche rendendole più solide rispetto hai modelli
precedenti
rendendole
però anche più mobili in modo tale da non comprometterne la mobilità.
Tutte queste
placche venivano poi tenute insieme da laccio di seta o cotone, un ulteriore
modifiche delle yoroi ci fu quando in Giappone venne introdotto l'uso
dell'archibugio portoghese nelle battaglie.
Gli
artigiani infatti introdussero placche più robuste(tosei-gusoku) che meglio
resistevano alle palle di piombo delle armi da fuoco,in più con il
tempo nel corpo,dell'armature, dovettero inserire un busto di
metallo( ni-mai do).Come in tutte le battaglie, la confusione poteva indurre in
errore i guerrieri rendendo difficile distinguere gli alleati dai nemici, prese
dunque piede l'abitudine di inserire gli stendardi di appartenenza nel retro
del do in modo da essere tutti identificabili.
Questo
vessillo prendeva il nome di Sashimono.(img:135421123256998)
Altro modo
per potersi distinguere era quello di laccare sul do(corpo) dell'armatura il
simbolo della casata a cui si apparteneva,questo per quanto riguarda i soldati
comuni, i samurai di alto rango infatti li si poteva distiguere dalle
lavorazioni della propria yoroi o del proprio kabuto(elmo) molto diverso da
quelli comuni.
i 10 dan
eccovi i
dieci stadi dell'illuminazione nella pratica delle arti marziali:
primo stadio:
un ragazzo
confuso si inoltra nella foresta alla ricerca del bue( che rappresenta per lui
l'illuminazione). naturalmente non trova il bue ed è consumato dall'angoscia.
si è smarrito e ha bisogno di una guida.
questo
stadio corrisponde a shodan, in cui la neo-cintura nera possiede un pò di
tecnica e sa di dover cercare una guida, ma non sa procedere per conto proprio
con passo sicuro.
secondo stadio:
il ragazzo
cerca diligentemente e trova le orme! è elettrizzato! gli sembra di aver
trovato un buon manuale da poter studiare e da cui trarre le conoscenze che
servono.
questo
stadio corrisponde a ni dan;la cintura nera di secondo grado, in cui
l'individuo cerca di appropriarsi delle conoscenze traendole da qualsiasi
fonte, non necessariamente la migliore.
terzo stadio:
il ragazzo
trova il bue, ma riesce a vederne solo una metà per volta.
questo
stadio corrisponde a sandan, in cui l'individuo inizia a capirne la natura, ma
riesce a comprendere solo parte della natura e della vita.
quarto stadio:
il ragazzo
cattura il bue e lo vede per intero. continua però a essere nei guai, perchè
non riesce a controllarlo. il bue si rifiuta di obbedirgli.
questo
stadio corrisponde a yodan, in cui l'individuo ha talvolta la sensazione di comprendere
la natura e se stesso, ma tale comprensione sembra scivolargli tra le dita come
fosse fumo; a volte si trova in preda alla confusione.
quinto stadio:
il ragazzo
comincia a imparare come controllare il bue. se ne occupa e lo nutre.
questo
stadio corrisponde a godan, il livello del maestro, in cui l'individuo inizia a
comprendere la verità. tuttavia, ha ancora molto da imparare.
sesto stadio:
qui il
ragazzo controlla totalmente il bue; può cavalcarlo,e il bue ubbidisce ai suoi
ordini. egli si rilassa completamente e suona il flauto mentre cavalca, perché non deve più tenersi neppure aggrappato al
bue.
questo
stadio corrisponde a rokudan, in cui ogni giorno ha il sapore di una vita
intera. L'individuo può rilassarsi e vivere una vita spontanea senza
preoccuparsi,senza pensare.
settimo stadio:
qui succede
qualcosa di nuovo. il ragazzo è solo;
non è sulle
tracce del bue. finora aveva ritenuto che il bue fosse la sua ricerca, la
sorgente della sua illuminazione. adesso si rende conto che l'illuminazione la
comprensione si trovano dentro di sè.
questo
stadio corrisponde a shichidan, in cui l'individuo inizia a scoprire
l'illuminazione dentro di sé il corpo e
la mente si fondono, e la vera felicità gli giunge spontanea.
ottavo stadio:
il ragazzo
si e completamente dimenticato del bue.
di fatto,si
è scordato di tutto e di tutti. in questo stadio tutto è uno,tutte le cose sono
uguali, ed egli percepisce l'armonia della natura.
questo
stadio corrisponde a hachidna, in cui la mente dell'individuo non è mai turbata
in nessun caso.
nono stadio:
finora siamo
stati testimoni del duro lavoro,dell'addestramento,dell'apprendimento e della
preparazione del ragazzo alla pratica di ciò che sarebbe sucesso in
seguito.adesso,in questo stadio, entriamo in un nuovo livello spirituale in cui
il periodo di addestramento è terminato.
qui il
ragazzo è puro, come un neonato, senza ansie,pensiei,preoccupazioni o
distrazioni.vive in una dimensione spirituale e la vita sembra perfetta.
questo
stadio corrisponde a kudan, in cui l illuminazione e la non illuminazione si
uniscono semplicemente in un cerchio; eglio non prende nemmeno più in
considerazione di raggiungere l'illuminazione.
decimo stadio:
in questo
stadio finale il ragazzo si serve della propria illuminazione per il bene degli
altri. conduce una vita assai simile a quella di un santo; si muove in un mondo
che è puramente spirituale ed esiste solo per aiutare gli altri. in questa
immagine, il ragazzo, che ha conseguito l'illuminazione,è rappresentato nei
panni del vecchio saggio, che aiuta un altro ragazzo a iniziare il suo cammino.
questo
stadio corrisponde a judan, la cintura nera di decimo livello.
Bushido
Quando compii diciotto anni mi feci un tatuaggio, una bella
scritta giapponese, bushido che vuol dire la via del guerriero.
Era da poco che praticavo arti marziali ed ero un tipo che
non si poneva molte domande, ero convintissimo che seguire questa via, fosse
esclusivamente eseguire gli ordini del maestro diventare
bravo e conoscere quante più tecniche possibile.
La mia conoscenza del Giappone era alquanto limitata e quel
poco che sapevo lo dovevo ai film e non ai libri. Crescendo crebbe anche la mia
curiosità per ciò che facevo. Cominciai cosi a documentarmi con libri di vari
autori su che cos'era effettivamente la vera via.
In una delle prime letture vidi una frase, che poi viene
riportata in diversi altri libri, ovvero
“la via del guerriero finisce nel momento in cui il nostro
cuore smette di battere.”
dopo questa frase comincia a pormi non poche domande.
Se la via, quella vera, va percorsa fino alla fine, ciò che
pensavo era sbagliato, l'uomo per sua natura invecchia la forza ed i riflessi
non sono gli stessi di quando si ha vent'anni, dunque che cos'è la via?
Perché in Giappone molti maestri che hanno cominciato questa
via da bambini la percorrono ancor oggi anche se novantenni? Se non è una
questione solo fisica, che cos'è?Sempre più incuriosito da queste cose,
continua a leggere, imparai cosi che non devi obbligatoriamente saper agitare
una spada o spaccare una montagna con un solo pugno per poter essere un
guerriero.
Un guerriero senza una spada? Davvero è possibile?
Continua a documentarmi fino ad imbattermi in una storiella
fantastica:
Un maestro di cerimonia del tè girovagando per il Giappone
un giorno incontrò un samurai,
parlando il samurai si senti offeso dalle parole del maestro
cosi lo sfidò a duello.
Il maestro preso dal panico, non sapendo maneggiare la spada
chiese aiuto ad un grande spadaccino
che insegnava li vicino.
Arrivato al dojo il maestro di cerimonia del tè spiegò tutta
la storia al grande spadaccino,
ma egli gli disse che in realtà, non poteva insegnarli
niente di utile, l'unica cosa che poteva consigliargli era di prepararsi allo
scontro come se si stesse preparando ad una cerimonia del tè,
con lo stesso spirito. Poco dopo incontrò il samurai.
Il maestro non aveva più paura il suo spirito calmo e il
cuore sereno pronto ad andare incontro alla sua sfida. Il samurai vedendo tutto
questo rinfoderò la spada e se né andò.
Dunque pare sia vero che per seguire il bushido non è per
forza necessario avere una spada in mano.
Più leggevo più imparavo e più il mio desiderio di sapere cresceva. Un giorno lessi dei sette principi del bushido:
Purtroppo una volta letto questo compresi quanti sedicenti
maestri ci sono in giro.
Quanti allievi raggiunto un certo livello si credono
migliori di altri,offendono i loro compagni con la loro arroganza e li umiliano
magari volutamente in pubblico.
Nonostante anche loro dicano di seguire questi via, a parer
mio sono ben lontani, seguono solo l'ombra di quella che è la via.
Quello che invece mi piace è che in questi principi non ci
sia alcun riferimento a odio rabbia invidia, tutti sentimenti che ci fanno
allontanare dalla via, ma non solo questo, non ci fanno essere in armonia con
il mondo di cui facciamo parte, e nonostante alcuni non lo abbiano ancora
capito,
se tutti fossimo davvero in armonia con la via che abbiamo
scelto, non ci sarebbe più bisogno di tentare di dimostrare che siamo sempre i
più bravi o i più forti che conosciamo mille tecniche, non ci sarebbe bisogno
di nulla poiché i nostri sforzi il nostro impegno verrebbe riconosciuto da
tutti e
verremmo rispettati realmente per ciò che siamo, e non per
ciò che gli altri vogliamo che vedano.
Alcuni di noi si immedesimano nella cintura che portano,
credono, di essere quella cintura.
Penso che questo sia profondamente sbagliato, noi non siamo
ciò che abbiamo né ciò che portiamo legato in vita.
Se un samurai perdesse la spada o non fosse più in grado di
usarla non sarebbe più un samurai?
Oppure, per essere un po' più moderni se un maestro
invecchia quindi non può più fare ciò che sapeva fare a vent'anni per questo
non è più un maestro?
Noi occidentali siamo troppo legati a pezzi di carta e
tacche sulla cintura nera.
Il mio viaggiare in Giappone mi ha fatto trovare molti più
maestri “senza spada” di quelli che abbia mai trovato qui in tutte le palestre
che ho visitato o stage che ho fatto.
Ho imparato cos'è il vero rispetto, verso ogni forma di
vita, verso ogni persona che incontriamo,
ogni persona,nessuna esclusa, sia donne vecchi o bambini,
tutti sono trattati come persone. Tutti sono uguali da tutti si può imparare
qualcosa, anche se in teoria siamo noi a dover insegnare.
Il rispetto è una cosa che in primo luogo si da e poi si
riceve se le nostre azioni sono giuste.
Qui la cosa è un po' più complicata, almeno questo è ciò che
vedo.
Il rispetto specie in palestra è una cosa che si deve dare a
coloro che sono a noi “superiori” e che, coloro che sono più in “alto” di noi
forse ci daranno ma questo sempre a discrezione del personaggio e magari a
seconda dell'umore!
Mi chiedo come si possa essere riconosciuti come praticanti
veri, se, colui che mi dovrebbe insegnare qualcosa, fischietta oppure è visibilmente annoiato. ( oppure è arrogante e maleducato, e non ha ,magari neppure i titoli per insegnare )
Altra cosa fondamentale che ho imparato nei mie viaggi è
l'umiltà cosa che ahimè manca davvero molto in ogni posto, palestre comprese.
A volta mi chiedo come si faccia ad insegnare ai propri
allievi di essere sempre umili e poi non essere aperti ad imparare qualcosa
anche poco da ognuno di loro.
Poter scrivere sul proprio dougi la parola sensei vuol forse
dire essere ormai esenti dall'imparare?
Dunque arrivati a questo livello siamo giunti alla fine
della via???
Io non credo, ma dopo tutte queste domande, tutte queste
risposte che ho cercato di darmi, c'è da dire che non sono di certo un buddha
quindi posso anche sbagliare e dire cose non giuste, forse una cosa magari non
importante credo di averla capita, cioè che seguire la via essere dei bravi
“moderni samurai” non voglia dire sapere un milione di tecniche o riuscire a
estrarre la spada in due millisecondi ma forse più semplicemente essere delle
persone migliori.
Davide Dotta
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