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mercoledì 29 gennaio 2014

Parabola del pescatore che giudicava duramente il prossimo

Parabola del pescatore che giudicava duramente il prossimo (448.6)
 


Un uomo, navigando sul lago in una sera placida come questa e sentendosi sicuro di se stesso, presunse di essere senza difetti. Era un uomo espertissimo delle manovre e perciò si sentiva superiore agli altri che incontrava sull'acque, dei quali molti venivano su esse per diletto e perciò senza quell'esperienza che dà il lavoro usuale e fatto per guadagnarsi la vita. Inoltre era un buon israelita e perciò si credeva possessore di tutte le virtù. Infine era realmente un buon uomo.
Or dunque, una sera che andava navigando sicuro, si permise di esprimere dei giudizi sul prossimo suo. Un prossimo, secondo lui, tanto lontano da non essere considerato prossimo. Nessun legame di nazionalità, nè di mestiere, nè di fede lo univa a quel prossimo e perciò egli, senza nessun freno di solidarietà nazionale, religiosa o professionale, lo derideva tranquillamente, anzi severamente, e si lamentava di non essere padrone del luogo, perchè se lo fosse stato avrebbe cacciato quel prossimo da esso luogo, e, nella sua fede intransigente, quasi rimproverava l'Altissimo di concedere a questi diversi da lui di fare e di vivere quello e dove egli faceva e viveva.
Sulla sua barca era un suo amico, un suo buon amico il quale lo amava con giustizia e perciò lo voleva saggio e, quando occorreva farlo, ne correggeva le idee sbagliate. Quella sera, dunque, questo amico disse all'uomo barcaiuolo: "Perchè questi pensieri? Non è uno il Padre degli uomini? Non è Egli il Signore dell'Universo? Il suo sole non scende forse su tutti gli uomini a scaldarli, e le sue nuvole non bagnano forse i campi dei gentili come quelli degli ebrei? E se questo fa per i bisogni materiali dell'uomo, non avrà le stesse provvidenze per i loro bisogni spirituali? E vorresti tu suggerire a Dio ciò che deve fare? Chi come Dio?"
L'uomo era buono. Nella sua intransigenza era molta ignoranza, molte idee errate, ma non era mala volontà, non era intenzione di offendere Dio, anzi era intenzione di difenderne gli interessi. Sentendo quelle parole si gettò ai piedi del saggio e gli chiese perdono per aver parlato da stolto. Tanto impetuosamente lo chiese che per poco non produsse una catastrofe facendo perire la barca e chi era su essa, perchè nella foga di chiedere perdono non si curò più nè del timone nè della vela, nè delle correnti. Perciò dopo il primo sbaglio di mal giudizio commise un secondo sbaglio di mala manovra, e provò a se stesso che non solo era un debole giudice ma anche un maldestro marinaio.

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